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Futuro

Stellantis, se Tavares ridimensiona Melfi

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Una mazzata. Se confermata, l’indiscrezione  – riportata qui da AutomotiveNews – secondo cui l’AD di Stellantis, Carlos Tavares, vuole smantellare una linea produttiva dallo stabilimento lucano, sarebbe un duro colpo per l’automotive della Basilicata. Avremmo diversi esuberi in Sata e nell’indotto

Ma cerchiamo di capire qual è la strategia di Stellantis e perché la fabbrica lucana è a rischio ridimensionamento.

IL TAVARES PENSIERO

Dopo aver visitato gli stabilimenti italiani Tavares è stato chiaro: “Produrre auto in Italia costa fino a quattro volte di più che in Francia e in Spagna. Tono gentile ma parole pesanti che mettono in discussione non solo il modello di FCA ma anche l’intero sistema industriale di una delle filiere più importanti del Paese. E che, nessuno, ha osato controbattere.
In effetti, la tabella che Tavares ha mostrato ai rappresentanti dei lavoratori con i costi per prodotto e il confronto con quelli della Francia la dice lunga:
– Grugliasco, 6.000 euro per vettura (Ghibli e Quattroporte);
– Mirafiori, 3.300 euro per ogni Maserati Levante;
– Moulhouse (Francia), 1.700 euro per la premium DS7 Crossback

Due, i motivi che spingono i numeri alle stelle.

Primo. La capacità produttiva degli stabilimenti italiani e’ sovradimensionata, e non solo rispetto a questa fase di recessione del mercato. Quelli europei di FCA funzionano in media al 55% della loro capacità (Alfa Romeo in Italia anche meno del 50%) e quelli di PSA al 68%. Serve ottimizzare

Secondo. A determinare gli alti costi di produzione non è il lavoro: “i salari dei lavoratori italiani sono più bassi di quelli dei cugini”. A fare la differenza c’è di sicuro una tassazione più alta ma anche le spese dell’energia industriale, la componentistica, la ricerca e sviluppo e i costi delle strutture. Occorre ridurli.

Come è noto: storicamente l’azienda torinese ha avuto la tendenza (nel bene e nel male) a svolgere un ruolo “nazionale”. Da un lato, ha sempre puntato a fare volumi e a gestire, poi, le oscillazioni negative del mercato con gli ammortizzatori sociali e, dall’altro, ha approcciato agli acquisti privilegiando (non sempre con la dovuta convenienza) le catene di fornitura nazionali.

Uno schema diverso, invece, quello di Tavares. Le sue rivoluzioni iniziano dal basso, dalla produzione: “sa fare le macchine” dicono i suoi collaboratori. Pare che le Peugeot abbiano circa il 70% di connessioni meccaniche (viti e bulloni) in meno delle FIAT. Il manager portoghese orienta le produzioni solo e sempre in linea con l’andamento del mercato e con fabbriche caratterizzate da bassi costi e grande flessibilità (da lavoro interinale). Non si appassiona ai volumi ma ai margini unitari. Ma è soprattutto un mago delle riduzioni dei costi attraverso un ampio ricorso all’outsourcing. Ha promesso oltre 5 miliardi di risparmi nei primi anni.

D’altronde quando Psa rilevò Opel da Gm, l’azienda era in perdita da 18 anni. Poi il manager ha riportato l’attivo (1,1 miliardi) attraverso un’ottimizzazione della “supply chain” e ad una riduzione del personale di 8.000 unità su un totale di 38mila.

RAZIONALIZZARE: PERCHE’ MELFI RISCHIA E QUALI GLI EFFETTI

Tavares non ha mai chiuso uno stabilimento e non inizierà certo adesso e in Italia. Per questo si ritiene probabile una razionalizzazione attraverso la riduzione del numero delle linee produttive per stabilimento. E qui, solo a Melfi e a Mirafiori si lavora su due.

La fabbrica Lucana ha, poi, un limite nei suoi anni. A pieno regime impegna 7.170 dipendenti con un’età media poco al di sotto dei 50 anni e una fetta importante di loro che, con diverse intensità, ha ridotte capacità lavorative. Infatti c’è un ampio ricorso a postazioni e sistemi ergonomici robotizzati (partner tecnologici) per facilitare il sollevamento dei pesi nei processi di assemblaggio. In confronto, lo stabilimento PSA suo gemello, quello francese di Sochaux, rilanciato per produrre la Peugeot 308, ha una forza lavoro di 7.300 unità con un’età media di poco superiore ai 30 anni.

Ma intanto i tagli sono già in corso. Il manager portoghese ha subito ridotto le spese di pulizie e mensa in tutti i centri produttivi. Sforbiciate arriveranno anche per la R&S. Troppi i centri di ricerca attivi ovunque. Chiusa in Basilicata l’Academy tecnologia interna, rischia la stessa sorte il Campus.  Poi toccherà ai servizi: Tavares tiene basso il numero dei “ non produttivi” nei suoi stabilimenti. Invece, a Melfi,  solo i dipendenti impegnati esclusivamente nei servizi di sicurezza e guardiania sono circa 80. E  poi la questione cruciale: il “sequeziamento” cioè il trasferimento e posizionamento dei componenti sulla linea produttiva che, oggi, è svolto da società di logistica esterne (a Melfi impegna quasi 800 lavoratori di diverse aziende ) ma che il gruppo francese nelle sue fabbriche esegue con personale interno. 

In questo scenario, dunque, per lo stabilimento lucano di Stellantis, è facile prevedere una riconfigurazione. Difficile, invece, capirne la portata e gli effetti. Di certo sono diversi i lavoratori da accompagnare (anche se con discreto anticipo) alla pensione, ma a quale prezzo? E soprattutto, sostenuto da chi? Se, poi, la capacità produttiva sarà ridotta ad una sola linea allora le cose di complicheranno. E non poco. Nel 1995, con una sola linea attiva, i dipendenti erano circa 4.500 (oggi 7.140). Solo una quota dei posti in esubero potrebbe essere compensata riportando le lavorazioni del “sequenziamento” all’interno. Ma, in questo modo, il problema si sposterebbe sulle aziende di logistica dell’indotto che, tagliate fuori, sarebbero costrette a licenziare.

IL LAVORO DA FARE IN ITALIA 

Bisogna avere il coraggio di dirlo: le fabbriche italiane di FCA non possono continuare a galleggiare tra basso impegno e alti costi.  Agitare lo spauracchio dell’assalto dei francesi alle fabbriche italiane non aiuta. Come non aiuta chiedere solo nuovi modelli.

Anche approfittando della crisi, molti ritengono che Tavares stia alzando il prezzo per ottenere dal Governo italiano un sostegno adeguato per procedere con una riduzione “dolce” del personale (in Francia, negli ultimi anni, ha contratto la forza lavoro del 5% ). Il manager portoghese ha sempre cercato di evitare i licenziamenti ricorrendo il più possibile a incentivare l’esodo. Ma non basterebbe.

Occorrono politiche industriali capaci di spingere e accompagnare l’intera filiera dell’automotive nazionale ad incamminarsi sulla frontiera dell’elettrico e dell’elettronica.

IL LAVORO DA FARE IN BASILICATA

E la Basilicata? L’assessore Cupparo ha riallacciato, dopo anni di telefoni spenti, il rapporto con FCA. Ma adesso la questione è troppo grande ed i temi troppo tecnici. Parigi è lontana, e non è Torino. Il Contratto di Sviluppo, che pure il governo lucano sbandiera, arriva troppo tardi e, in uno scenario così complesso, è un’arma spuntata. 

Per altro, come sempre nelle crisi, la competizione diventa territoriale e la Basilicata, ad oggi, non ha politiche né strumenti specifici di attrazione degli investimenti o vantaggi localizzativi. Eppure qualcosa si potrebbe ancora tentare (noi abbiamo fatto proposte qui nel 2015 e qui ancora prima ).
Una su tutte: per la regione del petrolio non dovrebbe essere difficile trovare una soluzione per abbattere la bolletta energetica (ENI se ci sei e ci vuoi essere batti un colpo) delle aziende “human and energy intensive” come quelle dell’automotive.

Adesso, per saperne di più, non resta che aspettare il 15 aprile quando, a Torino, è fissato il primo appuntamento tra Stellantis e i sindacati. I timori sono tanti ma non manca la fiducia. Anche se come ha dichiarato un operaio americano di Jeep:”Sono cauto. Non mi fido del CEO di PSA con il suo record di outsourcing. Un leopardo non cambia le sue macchie“.