Presente
Perché votare

Nelle ultime elezioni è stato evidente un fenomeno che sta mostrando i suoi effetti già da un po’, ossia la disaffezione degli italiani verso la politica. Il numero dei votanti diminuisce. Mentre negli anni ’70 l’astensionismo sembra un problema non riguardante l’Italia, nel tempo è diventato un fenomeno sempre più evidente.
Albert Hirshman nel 1982 afferma che “Nel lungo termine, comunque l’esistenza, l’attività e l’occasionale influenza dei veri gruppi di interesse e dei movimenti non può celare il fatto che l’orientamento politico fondamentale di una paese democratico risulta dal voto, vale a dire da un metodo di aggregazione delle preferenze che pone un tetto al coinvolgimento del cittadino. Questo tetto è un elemento necessario, integrante e centrale del processo democratico Ma esso limita anche l’esercizio della passione politica in un modo tale da generare delusione, spesso depoliticizzazione”[1]
Confinare la partecipazione alle sorti del proprio paese al momento del voto è limitante. Le persone hanno bisogno di partecipare alla vita politica del proprio paese. In economia tale fenomeno è noto come il paradosso del voto: l’uomo economico ha perfettamente coscienza che il suo voto non può essere determinante e quindi sente l’inutilità del voto. Non ha necessità di sacrificare il suo tempo per il voto perché non può determinare l’esito delle votazioni. In tal modo nessuno andrà a votare. E allora perché qualcuno vota? Secondo alcuni economisti la partecipazione al voto è determinata dal fatto che gli uomini sono anche dotati da un codice etico che li spinge alla partecipazione.
Cosa deriva da ciò? L’unico modo per accrescere la partecipazione al voto, unico atto effettivo ormai rimastoci di democrazia è risvegliare la vita pubblica, perché il confinamento al momento del voto della partecipazione snatura e demoralizza la democrazia. E la buona notizia è che la partecipazione alla vita pubblica ci rende più felici, perché innesca quelle relazioni così importanti per la nostra vita e soprattutto fa recuperare la sensazione di fare qualcosa di buono per il mondo, ci rende protagonisti.
“Le inversioni dalla vita privata e quella pubblica e viceversa sono segnate da aspettative fortemente esagerate, da infatuazioni totali, da rifiuti improvvisi”[2] La partecipazione alla vita pubblica nasce dall’insoddisfazione della vita privata. Il rinchiudersi in se stessi ha in sé l’evidenza dell’insoddisfazione. Quando l’individuo si rende conto che i consumi non determinano la propria soddisfazione sono spinti verso la vita pubblica. Allo stesso modo la delusione generata dalla vita pubblica spinge verso la vita privata Si. Bisogna ammetterlo anche la vita pubblica genererà delusione. Non è tutto rose e fiori. La delusione sarà determinata dal maggior tempo necessario per la partecipazione rispetto al previsto, al fatto che spesso le azioni progettate prendano strade inaspettate non sempre corrispondenti ai nostri obiettivi iniziali, ma soprattutto, ciò che ci delude di più, è un “difetto di immaginazione” che rende incapace l’individuo di intraprendere le tappe intermedie di un progetto. Vorremmo vedere subito il gran finale.
Quindi l’uomo oscilla tra la vita pubblica e la vita privata.
In questo periodo ci troviamo di fronte ad una generalizzata tendenza ad allontanarsi dalla vita pubblica. Perché forse a partire da tangentopoli gli individui hanno cominciato a ritenere la vita politica come sporca. A ciò si aggiungono i numerosi scandali che ci troviamo ad affrontare ogni giorno. Il dibattito politico ormai è continuamente inquinato da accuse reciproche e da scontri esasperati. Questa disillusione non sta aiutando però il nostro Paese.
Abbiamo detto che la partecipazione alla vita pubblica è una grande fonte di gioia quando l’individuo si sente scoraggiato dalla vita privata. Questo concetto è ben illustrato dall’economista Albert Hirchman che ci aiuta a comprendere meglio anche il superamento del cosiddetto fenomeno del free rider. L’individuo non è spinto a collaborare per il bene pubblico perché ciò che ottiene è un bene disponibile per tutti, senza alcuna distinzione per coloro che hanno partecipato alla sua realizzazione. Quindi il beneficio che ne otterrà sarà sempre inferiore rispetto al beneficio ottenuto da colui che usufruisce senza aver fatto nulla del bene comune. Infatti mentre il free rider ottiene il bene e basta, colui che ha collaborato dovrà sottrare dal beneficio di godimento del bene il costo che ha sostenuto per ottenerlo. Cosa aggiunge a tale teoria Albert Hirschman? “Gli sforzi per la felicità pubblica ed il suo raggiungimento non possono essere nettamente separati. Invero il fatto stesso di perseguire la felicità pubblica e spesso la cosa migliore”, ossia chi partecipa alla vita pubblica riceve una gioia ed una soddisfazione nel momento in cui partecipa ad accrescere il bene pubblico non sperimentata da colui che ottiene e basta il bene. “Il beneficio dell’azione collettiva per un individuo non è la differenza tra il risultato sperato e lo sforzo da lui compiuto ma la somma di queste due grandezze”.[3] Quindi il tempo e l’impegno che ha impiegato per ottenere il bene, le spese che ha sostenuto, non si sottraggono al beneficio derivante dal bene ma si sommano. Da ciò deriva che l’unico modo per un cittadino per accrescere il proprio beneficio è partecipare al conseguimento del bene comune. L’impegno politico essendo la massima espressione della collaborazione al bene comune diventa un modo per accrescere la propria partecipazione. E’ importante allora che gli individui riscoprano questa passione superando la banalità dei pregiudizi verso la politica.
“E’ la crisi della democrazia il pilastro su cui si fonda l’economia insostenibile. Alla radice della crisi ecologica attuale e futura c’è il senso di impotenza collettiva e la rassegnazione a sentirsi soli”[4] Rafforzare pertanto l’impegno politico è la strada per evitare che gli individui si richiudano in se stessi, si disinteressino del bene comune e lascino tutte le decisioni in mano a elites economiche. “i rituali elettorali sopravvivono legittimando il sistema. Ma dietro la forma, la sostanza è fatta di cittadini passivi che subiscono le decisioni politiche astenendosi da un fastidioso attivismo. Questo è il mondo ideale delle grandi imprese”[5]
[1] Albert O. Hirschman, Felicità privata e felicità pubblica, 1982 Il Mulino, p. 122
[2] Hirshman ibidem p. 112
[3] Hirschman ibidem p. 93
[4] Stefano Bartolini, Ecologica della felicità, 2021 Aboca S.p.A. pag. 28
[5] Bartolini, Ididem p. 169