Connect with us

Futuro

«Cambieranno alcune abitudini, ma non la morfologia della casa»

Published

on

Intervista all’architetto Dante Oscar Benini

Dante O. Benini

La prima cosa che chiede di fare è sgomberare il campo del dibattito dalla strumentalizzazione. «L’abitare del futuro è oggi. Non dia retta a chi cinguetta e distribuisce dogmi su che cosa sarà.» Così, con una premessa, Dante Oscar Benini, architetto e designer, allievo di Carlo Scarpa e ospite italiano dello studio di Frank Gehry, autore del Living Art di Mosca e progettista di numerosi spazi abitati del contemporaneo, parla del tempo di pandemia.

«Nei prossimi dieci anni le abitazioni non cambieranno. A parlare di “abitare del futuro” sono le grandi società, in genere specializzate in commerciale e tuttologia, che hanno bisogno di fumo per fare rumore. In questo momento ci sono in costruzione sette, forse otto milioni di locali da vendere. Che cosa crede che cambierà? Non è che chi costruisce case in questo momento pensa all’abitare del futuro, pensa a capire come mettere a profitto l’investimento fatto.»

Sta dicendo che la pandemia non avrà riflessi sugli spazi del nostro vivere quotidiano?

«Cambieranno gli atteggiamenti, alcune abitudini di vita, ma non la morfologia del costruito. Chi dice il contrario fa strumentalizzazione per cavalcare il momento. Nei prossimi anni cambierà il costume, la consapevolezza che può esserci un’emergenza e che dobbiamo arredare la casa per questa evenienza.»

Quindi l’arredo come cambierà?

«Basta rifarsi alla nostra lingua: “arredo”, dice la Crusca, significa provvedere al necessario. Il vocabolario etimologico del Battisti aggiunge la derivazione gotica con significato di “avere cura”. Da qui, come diceva Carlo Scarpa, consegue il principio di necessità. Volendo essere pratici, non cambierà la divisione degli spazi nelle case, ma magari faremo più attenzione ad avere prese disponibili o mensole per poggiare il computer qualora dovessimo lavorare da casa. Allo stesso modo, il tavolo della sala da pranzo ospiterà le nostre cene e le ore di studio e lavoro al pc. Ma sono elementi della composizione, nulla cambia nella morfologia»

Nessuno spazio a misura di emergenza da coronavirus?

«Non credo agli spazi comuni nei condomini, non credo realizzeremo box per lo smartworking nei condomini. Come potremmo gestirli? Andrebbero disinfettati ogni volta. E poi non abbiamo le volumetrie per realizzarli. Inoltre, se dovessimo pensare a spazi “comuni” propedeutici per l’emergenza dovrebbero essere gratuiti, altrimenti l’investimento dell’imprenditore ricadrebbe sul costo per l’inquilino.»

In questo contesto che cosa può fare l’architetto?

«L’architettura è una sorta di crociata per la civilizzazione, è una spinta alla democrazia, intesa come espressione del valore e della dignità della persona. La casa è la base fondamentale della democrazia. E l’abitazione a prezzo contenuto è il vero problema degli architetti in tutto il mondo.»

Mi pare non sia ottimista sul fatto che possa essere risolto.

«Pensi ai tempi e alla burocrazia italiana. Dall’acquisto di un suolo al permesso a costruire passano circa tre anni se hai santi in paradiso, nella norma almeno cinque. Nel frattempo, il mercato è crollato».

E sul versante del progettare, invece?

«La capacità di costruire degli italiani è unica, nessuno sa eguagliarne la sapienza e il magistero. Duemila anni di storia nel settore, il Rinascimento come lezione al mondo, e andando ancora prima basta osservare Pompei: la qualità nel costruire è imbattibile.»

La ricetta per un giusto abitare?

«Il tema è quello della qualità offerta. Nessuna sfida è più affascinante dell’infondere qualità all’ambiente in cui vivono gli uomini. Oggi il concetto di bellezza ha superato l’appartenenza alla categoria estetica, è diventato sinonimo di benessere. Tutto questo non ha a che vedere con la pandemia, ma riguarda il rapporto della nostra professione con l’uomo: la nostra non è una missione, ma un ideale. Se la medicina cura, l’architettura è prevenzione.»